COMUNICATO STAMPA 

PROGETTO DI LEGGE n. 114
(28/10/2005)

di iniziativa del Consigliere

Silvia Ferretto Clementi

INTERVENTI PER IL REINSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO DEGLI “OVER 40”

RELAZIONE 

Un’indagine realizzata nel luglio 2005 dalla Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato sulla condizione dei lavoratori anziani, sulle normative previdenziali e sulle prospettive di occupabilità ha confermato le gravi carenze esistenti in Italia relativamente all’inserimento e al reinserimento dei soggetti in età matura nel mercato del lavoro.

Considerata l’evoluzione demografica europea, che, come emerge da un recente studio commissionato dal Consiglio Europeo (il cosiddetto “rapporto Kok” del novembre 2004), è ormai da tempo caratterizzata dalla caduta del tasso di natalità e dall’aumento della speranza di vita, c’è da aspettarsi, di qui ai prossimi decenni, una trasformazione radicale nella composizione della popolazione del vecchio continente.

Sempre secondo previsioni contenute nel rapporto citato, infatti, entro il 2050 a fronte di un aumento del 60% del numero delle persone con più di 65 anni, si registrerà un calo intorno al 18% della popolazione in età lavorativa, con la conseguenza che, su scala europea, il rapporto tra pensionati e persone in età lavorativa passerà dall’attuale 24% a circa il 50%.

Il progressivo invecchiamento della popolazione comporterà inevitabilmente una sensibile riduzione dei volumi contributivi ed un vertiginoso incremento della domanda di risorse da destinare alle pensioni e alla sanità con inevitabili effetti sulla finanza pubblica.

È evidente che l’unico modo per poter sostenere la crescita economica e il gettito fiscale indispensabili a garantire la funzionalità dei sistemi di protezione sociale è incrementare il tasso di occupazione, migliorare la produttività e adattare i sistemi di protezione sociale ai nuovi bisogni sociali determinati dall’invecchiamento della popolazione.

Dato il costante e progressivo aumento dell’età media della popolazione europea, diventa indispensabile quindi, come evidenziato dal Consiglio Europeo nel 2001, un approccio globale all’invecchiamento della società, puntando in particolare ad incrementare l’occupazione della popolazione in età compresa tra i 55 ed i 64 anni.

Senza una politica di sostegno mirata, infatti, nel lungo periodo il tasso di partecipazione e di occupazione dei lavoratori in età matura continuerà  inevitabilmente a diminuire.

Questi problemi riguardano molto da vicino anche l’Italia, dove già oggi il numero delle persone che hanno più di 65 anni è superiore al numero di coloro che ne hanno 20.

Secondo previsioni dell’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), nel 2025 saranno quasi 5 milioni in meno le persone in età lavorativa con il rischio che entro il 2050, se le tendenze in atto, com’è presumibile, non muteranno, il rapporto tra pensionati e popolazione attiva potrebbe arrivare addirittura al 61%.

Nonostante il  basso tasso di dipendenza dei giovani e l’alto tasso di dipendenza dei lavoratori in età matura, l’Italia è anche il paese europeo in cui si registra il più basso livello di partecipazione al lavoro delle fasce di popolazione tra i 55 e i 64 anni (con un tasso, nel 2003, pari al 30% - circa 10 punti percentuali sotto la media comunitaria).

La crisi occupazionale dei lavoratori in età matura investe lavoratori con qualifiche professionali di ogni tipo e, sebbene nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 64 anni, il tasso di occupazione sia positivamente correlato al livello di istruzione (dai dati forniti dal Presidente di Italia Lavoro emerge che tra i sessantunenni occupati uno su due è laureato, uno su tre è diplomato e soltanto uno su sei ha conseguito esclusivamente un diploma della scuola dell’obbligo) una delle peculiarità del fenomeno della disoccupazione dei lavoratori in età matura è che coinvolge in larga misura le qualifiche medio alte, comportando così un’ampia perdita di esperienza e professionalità.

I numerosi processi di ristrutturazione aziendale, la cessazione di attività e la delocalizzazione di molte imprese in aree geografiche a più basso costo della manodopera hanno portato spesso a situazioni di esubero di personale, di cui in molti casi sono proprio i soggetti in età matura a fare le spese.

Negli ultimi anni il Governo è intervenuto con diverse iniziative per cercare di incentivare i lavoratori a ritardare il momento del pensionamento.

Si pensi a questo proposito al bonus contributivo erogato a chi decide di proseguire l’attività lavorativa.  Tale provvedimento però, pur avendo portato ad un reale contenimento della spesa pensionistica con notevoli benefici per la previdenza nazionale, ha penalizzato le imprese.  Il prolungamento della vita lavorativa conseguito in questi termini, infatti, comporta un maggior onere in termini di costo del lavoro a carico delle imprese risultando così all’atto pratico una sorta di vero e proprio ammortizzatore sociale i cui oneri vengono posti totalmente a carico dell’imprese stesse.

Analizzando il problema in questi termini è evidente il motivo per cui siano numerose le aziende che preferiscono agevolare i pensionamenti incoraggiando il turn over dei lavoratori in età matura a favore di lavoratori più giovani, meno costosi, spesso in possesso di requisiti di istruzione e di addestramento più consoni e anche più idonei ad adattarsi ai mutamenti tecnologici e di organizzazione del lavoro.

È dunque anche per questo che le aziende utilizzano ogni qualvolta sia loro possibile della mobilità, facendone spesso un uso improprio ed eccessivo, utilizzandola come forma di prepensionamento al fine di privilegiare l’assunzione di personale giovane.

In questo senso vanno purtroppo annoverate anche pratiche scorrette messe in atto nei confronti di lavoratori ormai indesiderati. In alcuni casi infatti, pur di indurre una persona ad andare in pensione o licenziarsi, le imprese ricorrono addirittura a pratiche di mobbing, rendendo insopportabili le sue condizioni di lavoro.

Il mobbing investe con particolare intensità lavoratori con qualifiche medio-alte e solitamente appartenenti alle fasce d’età più elevate, penalizzati dalla cresce automazione dell’organizzazione produttiva e da una profonda variazione dei criteri di responsabilizzazione che creano emarginazione e sminuiscono, in molti casi, il valore dell’esperienza lavorativa, creando così le condizioni psicologiche “ottimali” per una sua fuoriuscita solo apparentemente volontaria dal mercato del lavoro.

Un altro strumento attraverso il quale modo il Governo ha cercato di incentivare il prolungamento della vita lavorativa è il superamento del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro.

Questa scelta però, sebbene indispensabile per contrastare efficacemente il lavoro sommerso nel quale molti lavoratori in età matura, già pensionati, spesso sono impiegati, ridimensiona nei fatti la convenienza per queste persone a fruire del bonus contributivo menzionato.

Per sostenere l’occupazione dei soggetti in età matura, nel 2003 (D. Lgs 9 luglio 2003, n. 216) è stata attuata anche la direttiva 2000/78/CE che vieta la discriminazione dei lavoratori in base all’età.  Purtroppo però la normativa non viene rispettata. Come emerge infatti da una recente indagine frutto della collaborazione tra Sda Bocconi e Astra – Demoskopea, ben il 42,4% delle inserzioni riguardanti offerte di lavoro pone vincoli espliciti di età, che nell’oltre 80% dei casi è inferiore ai 40 anni.

I problemi di ricollocamento dei lavoratori già dai 40 anni di età sono una peculiarità del nostro mercato del lavoro.  Il fenomeno di espulsione dal lavoro dei lavoratori in età matura infatti non è certamente nuovo, ma fino a qualche anno fa colpiva solitamente lavoratori dai 50 anni in su.  0ggi, invece, la cosa preoccupante è che l’età “problematica” continua a scendere e colpisce individui sempre più giovani in un momento particolarmente delicato della loro vita, con conseguenti risvolti sociali spesso drammatici.

Queste persone infatti si ritrovano disoccupate in un’età ibrida con grossi problemi di reinserimento professionale, economicamente e psicologicamente distrutte, impossibilitate dal consolidare le basi per il futuro proprio e della propria famiglia.

“Troppo giovani per la pensione, troppo anziani per il lavoro”: una affermazione che può sembrare un nonsense ma che rappresenta sempre più una dura realtà.

Dati raccolti dalla Commissione Lavoro del Senato quantificano in circa 700 mila le persone espulse precocemente dal mondo del lavoro che non riescono a trovare una nuova occupazione e anche se il fenomeno attualmente rappresenta “solo” il 2-3% della forza lavoro, ciò che maggiormente preoccupa è la tendenza che si sta consolidando.

È evidente che data la gravità della situazione e delle prospettive future è urgente ed indispensabile la realizzazione di una politica di invecchiamento attivo strutturata e ponderata, che consenta di superare in modo efficace lo svantaggio legato all’età del lavoratore aumentando la convenienza per le imprese ad impiegare o reimpiegare lavoratori in età matura (attraverso una riduzione del cuneo fiscale e contributivo a loro carico) o promuovendone l’autoimpiego.  

Si potrebbe per esempio replicare l’esperienza della Spagna, dove sono state applicate con successo misure incentrate su moduli di decontribuzione parziale per l’assunzione degli over 45 al fine di favorirne la reintegrazione nel mercato del lavoro (sconti contributivi differenziati - dal 45% al 100% - in base all’età del lavoratore assunto e alla durata del contratto).

Per accrescere le opportunità per i lavoratori in età matura di rimanere sul mercato devono però anche essere eliminati, ove siano ancora in atto, incentivi al pensionamento dei singoli lavoratori o al prepensionamento da parte delle imprese offrendo, per contro, incentivi ai lavoratori per ritardarne il pensionamento, ma anche ai datori di lavoro perchè assumano e mantengano al lavoro anche soggetti in età matura

Le condizioni di lavoro devono essere migliorate dedicando maggiore considerazione ai temi della salute e della sicurezza e prevedendo una più ampia flessibilità nell’organizzazione del lavoro. La permanenza in attività dei lavoratori in età matura dipende infatti anche dalla possibilità che viene offerta loro di esprimere la propria professionalità, che influisce fortemente sulla loro voglia di continuare a lavorare e quindi di non subire passivamente il pensionamento.

Si deve puntare anche a formule di pensionamento flessibile e graduale e garantire un’attività di formazione professionale costante nell’arco di tutta la loro vita lavorativa.

Da dati Eurostat emerge che solo il 23,9% delle imprese italiane investe nella formazione dei propri dipendenti contro una media europea del 57% (percentuale pari addirittura all’80% in Germania e Danimarca) e che, fra i lavoratori over 50, la partecipazione a programmi di formazione è molto bassa, raggiungendo livelli minimi tra i non specializzati.

A questo proposito si potrebbe pensare di trasferire alle generazioni più giovani l’esperienza e la professionalità maturata nell’arco della vita lavorativa, utilizzando i lavoratori in età matura con qualifiche professionali medio-alte come formatori in corsi di didattica pratica.

La formazione permanente e la qualificazione e riqualificazione professionale, che giocano un ruolo strategico, potrebbero anche essere offerte ai lavoratori disoccupati -  come già avviene in Spagna – in abbinamento ad un’attività lavorativa a tempo determinato in settori a particolare rilievo sociale (es. restauro di beni immobili del patrimonio artistico).

Si potrebbe infine in questo senso pensare, come già fatto da altri governi in Europa, di concedere dei sussidi statali ai datori di lavoro per la realizzazione di attività formative.

Gli interventi auspicabili sono evidentemente numerosi:

-  un sistema di ammortizzatori sociali maggiormente efficace;

-   politiche di sostegno alle famiglie mirate a consentire scelte di pensionamento non condizionate da esigenze di cura di minori o di persone non autosufficienti;

-   forme di integrazione del reddito su base mutualistica, con accantonamenti obbligatori a carico delle aziende e dei lavoratori per garantire al lavoratore espulso dal mercato del lavoro in età matura la sussistenza economica almeno per un periodo di tempo;

-   erogazione dell’indennità di disoccupazione collegata all’obbligo di frequentare corsi di formazione o di riqualificazione;

-   riqualificazione dei servizi all’impiego (molto utili per riuscire a vincere la demotivazione che spesso coglie le persone in età matura, a causa della sensazione di inutilità per le scarse possibilità di riuscita a rientrare nel mondo del lavoro) attraverso una specializzazione delle competenze mediante formazione ad personam legata ad uno specifico obiettivo di reingresso sul mercato del lavoro;

-   maggiori controlli affinché nelle offerte di lavoro le normative vigenti che vietano la discriminazione del lavoratore in base all’età vengano fatte rispettare;

-   prevenzione e repressione del mobbing, che in molti casi rappresenta la premessa ambientale della richiesta di pensionamento.

In attesa dunque che provvedimenti a livello strutturale possano essere realizzati dal Governo si ritiene che la regione Lombardia, una tra le regioni più importanti a livello europeo e quella con il maggior numero di richieste di pensionamento (nel 2003 pari a quasi il 24% del totale), abbia il dovere di intervenire, nell’ambito delle sue competenze, a sostegno di questa categoria di lavoratori.

A questo fine, il presente Progetto di Legge propone di accordare la riduzione fino al 50% dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) a tutte quelle aziende, in qualunque forma giuridica organizzate, che reinseriscano nel mondo del lavoro personale di età superiore ai 40 anni  disoccupato da oltre 12 mesi.

INTERVENTI PER IL REINSERIMENTO
NEL MONDO DEL LAVORO DEGLI “OVER 40”

Articolo 1
(Finalità)
 

1.    La Regione Lombardia, al fine di promuovere il reinserimento nel mondo del lavoro degli over 40 disoccupati da oltre un anno in seguito a processi di riduzione o trasformazione di attività o lavoro e di cessazione di attività di lavoro autonomo, riconosce una riduzione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP), istituita dal D. Lgs.  n. 446 del 15 dicembre 1997 (“Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché il riordino della disciplina dei tributi locali”) a tutte quelle società, in qualunque forma giuridica organizzate, che assumano personale di età superiore ai 40 anni. 

Articolo 2
(Aliquota)
 

1.   Per i soggetti passivi di cui all’articolo 1 della presente legge, l’aliquota IRAP è ridotta, secondo quanto stabilito all’art. 4, fino al 50%, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, della Legge 446 del 15 dicembre 1997 (“Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché il riordino della disciplina dei tributi locali”). 

Articolo 3
(Beneficiari)
 

1.     Agli effetti della presente legge ricadono nella definizione di cui all’articolo 1 tutte le società, in qualunque forma giuridica organizzate, che assumano persone di età uguale o superiore a 40 anni, disoccupate da almeno un anno. 

Articolo 4
(Funzioni della Giunta Regionale)
 

1.     Entro 90 giorni la Giunta regionale, d’intesa con la Commissione consiliare competente, definisce i parametri per poter beneficiare delle riduzioni di cui all’articolo 2, l’entità delle riduzioni stesse nonché i criteri attuativi.  

Articolo 5
(Dichiarazione di urgenza)

1. La presente legge è dichiarata urgente ai sensi dell’art. 127 della Costituzione e dell’art. 43 dello Statuto regionale ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sul BURL.