Attacco all’America-Occidente: 
la coerenza nella verità

-di Paolo Farinella-

Genova 12.09.2001 – Da tre anni residente in Israele, Gerusalemme est, zona Abu-Dis, futura capitale del futuro Stato Palestinese, mi trovo in Italia per un periodo di riposo. Immoto davanti alla tv, cerco di capire oltre gli eventi e le immagini. Obiettivo Medio Oriente: colpite l’Occidente! America in ginocchio! potrebbe essere la sintesi e la ragione vera dell’atto di guerra agli Stati Uniti. Le ragioni, tutte, sono da cercare in Palestina. Forse, ora, l’Occidente potrebbe essere in grado di analizzare situazioni, ambienti, ragioni e comportamenti, con meno superficialità di quanto non abbia fatto finora

L’America, e con essa tutto il mondo “ragionevole”, è colpita al cuore e nella carne. Migliaia di suoi figli, inermi e ignari sono morti, causando morte ai propri connazionali, come i passeggeri degli aerei scagliati come bombe contro altri cittadini. I simboli dell’economia e del potere militare e politico sono stati abbattuti, coram mundo, in diretta, con un impatto emotivo e scenico deflagrante. L’inimmaginabile ora è possibile, anzi, è già accaduto. La realtà supera e travolge la fiction. Quali sentimenti possono prevalere di fronte ad un attacco pensato, studiato, preparato da anni e pianificato con diabolica determinazione? Orrore, sdegno, indignazione, impotenza, paura, voglia di vendetta si mescolano insieme in un miscuglio esplosivo che lotta tra la civiltà della ragione e la ragione dell’istinto. Su tutte, in fondo all’anima, emerge però il bisogno di pregare per i morti, per le loro famiglie, anch’esse morte, pur restando in vita, che è la peggiore condanna a morte che solo un bieco e immondo tribunale sa erogare: un tribunale vigliacco e anonimo, per il quale la vita, la legalità, i codici di convivenza non hanno alcun senso e alcuna dignità.

L’attacco di terrorismo all’America ha le sue ragioni e le sue radici in Medio Oriente, nella questione palestinese, sulla quale, però bisogna fare chiarezza, senza equivoci. Le scene di giubilo non solo tra gli “arabetti” analfabeti di Gaza o della West Bank, ma in tutte le moschee del mondo, con distribuzione di dolci in segno di gioia, come garantisce lo sceicco Omar Bakri, portavoce a Londra del demoniaco Osama bin Laden, sono la chiave di lettura di questa tragedia annunciata.

La causa palestinese non interessa minimamente il mondo arabo, ma è un paravento formidabile per ogni forma di estremismo e fondamentalismo. Gli stessi palestinesi di Arafat, sono divisi tra loro: quelli sotto influenza diretta di Israele, ma anche quelli di Ramallah, non vogliono a nessun costo uno Stato palestinese, che per loro significherebbe il ritorno alla miseria più nera. Se questi potessero eliminare i Palestinesi di Gaza e i profughi della Giordania lo farebbero senza problema. Protestano e bruciano i simboli americani e israeliani… vestiti all’americana, bevendo Coca-cola e con i dollari e gli shekel in tasca. Se fossero veramente coerenti…! Eppure, questo non-popolo, o se si vuole, questa massa palestinese esiste da oltre 50 anni, sballottata da una risoluzione dell’Onu all’altra, come carne da macello. Israele non ha mantenuto alcuna promessa, avendo di mira solo l’espulsione fisica di quel non-popolo palestinese, invaso, deportato e costantemente derubato della propria terra e della propria sussistenza di vita. Il mondo occidentale, inchiodato nel complesso di colpa della shoah, ha taciuto e ha lasciato fare, tollerando un genocidio e piegandosi supinamente ad ogni veto americano su ogni risoluzione dell’Onu, favorevole non ai Palestinesi, ma ad uno straccio di parvenza di giustizia. 50 anni di odio, alimentato e “ragionato” nelle scuole ebraiche e arabe, nelle sinagoghe e nelle moschee, chiamando ciascuno Dio dalla propria parte, non si cancella senza violenza, sangue e vendetta. Oggi, l’attacco all’America segna l’apice e la vera ragione della guerra palestinese-israeliana e segna anche la tragedia sia per Israele sia per il non-popolo di Arafat, l’unico che, anche se in ritardo, sembra essersi accorto che il crollo delle Twin Towers sono anche l’inizio del crollo del mai esistito Stato palestinese.

Bisogna essere coerenti, nella verità, perché la sola coerenza non basta: se le premesse sono sbagliate, anche le conclusioni saranno sbagliate, sebbene coerenti. I diritti sono indivisibili e valgono per Israele, per i Palestinesi, per l’America come per gli altri popoli. Non esistono diritti buoni e diritti cattivi. Una civiltà si misura e si valuta per la sua capacità di riconoscere anche al nemico gli stessi doveri e gli stessi diritti. Sempre. Non solo quando fa comodo o quando è funzionale al proprio interesse momentaneo. Si possono vendere armi e pretendere che cessi il fuoco? Si può negare il diritto all’autodeterminazione, sancito da una risoluzione, votata all’unanimità e disattesa da ben 53 anni e pretendere che questo non-popolo si adegui e accetti, baciando le mani di chi li tortura? Si può discutere di confini e di territori, mentre contemporaneamente si ordina l’occupazione di territori con insediamenti suicidi e immorali?

Il non-popolo palestinese è un bubbone marcio per l’intero mondo arabo, che ne farebbe a meno: basta assistere al rituale incontro dei paesi “fratelli”, i quali, ad ogni sospirare di crisi, si riuniscono, condannano Israele e finiscono stanziando pochi spiccioli che vanno a finire nelle tasche dei corrotti che assediano Arafat. Mai una soluzione politica, una soluzione pratica. Petrolio e mercati valgono bene milioni di profughi. Il capitalismo occidentale ha corrotto definitivamente i già autocorrotti  sceicchi e loro valvassori e valvassini. Se il non-popolo palestinese scomparisse oggi, i primi a tirare un sospiro di sollievo sarebbero gli arabi, i lor-signori del petrolio, poi gli arabetti palestinesi che vivono alla periferia immediata di Gerusalemme, gli stessi che tripudiano per l’accatto all’America, poi gli arabi palestinesi cittadini di Israele, per i quali finirebbe l’incubo di uno Stato che aborriscono e che osteggiano. Questo è il brodo di coltura che porta ai drammatici eventi di oggi. Un brodo che è alimentato da ragioni “pseudo religiose” o meglio da una visione totalizzante del mondo e della civiltà che s’identifica con l’islamismo. E’ il fondamentalismo islamico, con cui l’occidente intero deve fare i conti, se vuole sopravvivere.

L’Islam non è una religione che si appella alla ragionevolezza o al sentimento o, semplicemente alla fede; esso è uno strumento di potere e di dominio che muove le viscere delle masse e i suoi istinti irrazionali contro tutto ciò che non è islamico, cioè arabo. Tutti gli sceicchi e rais del Medio Oriente sono atei “praticanti” (nelle loro regge è lecito tutto ciò che il Corano dichiara fuori legge: fumo, alcol, prostituzione, inganni, omicidi, rapporti d’interesse con gli “infedelei”, ecc.) che utilizzano il sentimento viscerale religioso per mantenere le masse in totale ignoranza, sottosviluppo, faide tribali e aizzarle contro il nemico esterno, il nemico di Allah: il mondo Occidentale.

L’Islam non è una religione del dialogo, perché parte dal presupposto che ogni interlocutore non islamico è “degno” solo di morte. Non è contemplato il principio di tolleranza. Senza discussione. Senza appello. L’Occidente si meraviglia che i Talebani distruggano le statue millenarie di Budda? Se si meraviglia, è segno che non ha mai capito nulla dell’Islamismo ortodosso: una statua, un libro, un’immagine, un’opera sono valutati non in se stessi come possibili opere d’arte, di pensiero e testimoni di civiltà, ma in rapporto esclusivo con la visione fideistica islamica: se i loro contenuti sono nel Corano, sono superflui; se non sono nel Corano, sono dannosi. In ogni caso sono da distruggere.

In quasi tutto il Medio Oriente, le donne che portano il velo sono pagate per portarlo, salvo toglierselo, quando si allontanano dai quartieri frequentati. L’Arabia Saudita e l’Iran cercano in ogni modo di mantenere tradizioni che vanno affievolendosi, specialmente nelle nuove generazioni, figlie della televisione e, in qualche caso, di Internet (nella maggioranza dei paesi arabi, specialmente in quelli di stretta osservanza, Internet è vietata, come anche presso gli ebrei ortodossi), per cui offrono contributi sostanziosi alle donne che scelgono di portare il velo. Ogni giorno, da lunedì a giovedì, gli uffici postali arabi pullulano di fila di donne che riscuotono il sussidio in dinaro giordano, che immediatamente cambiano in shekel israeliani o dollari Usa.

Molti Palestinesi residenti dentro le mura della Gerusalemme vecchia, quella per cui, sia essi che gli Ebrei, dicono di volere combattere fino alla morte, avendo fiutato l’affare, hanno venduto e vendono le loro case agli Ebrei. Per aggirare la pena di tradimento che può condurre al linciaggio e alla morte, si mettono d’accordo con gli Ebrei per essere espropriati, cioè costretti. Gli Ebrei accettano di “espropriare”, in forza di una riduzione del prezzo.

Il mondo arabo, frantumato in miriadi di spezzoni, è unificato solo dal collante religioso, che diventa codice di comportamento esteriore, civile, militare e sociale. Nessuno può ribellarsi, pena la morte. L’adesione all’Islam non è libera, consapevole, voluta. Bisogna esserlo, per forza. Con la forza. L’Islam non esige corrispondenza morale: basta compiere alcuni gesti esteriori per essere a posto come buon credente: la visita alla moschea, il pellegrinaggio annuale alla Mecca o a Gerusalemme, l’elemosina e la preghiera quotidiana, in risposta all’invito del muezzin. Ciò che conta è il “credo” religioso “oggettivo”, non la persona che è un piccolo ingranaggio dell’intero sistema. Non esistono diritti, eccettuati quelli dei “maschi” che governano ogni forma di potere, pubblico e privato.

Tutto il mondo si è commosso davanti all’immagine del bambino ucciso, per errore dagli Israeliani, mentre era insieme a suo padre, addossato ad un muro che non lo ha protetto. Tutti hanno interpretato quell’immagine come l’eroismo di un padre che cercava di salvare il suo figlio. Solo gli occidentali potevano dare questa lettura. In verità, il padre stava avanti e teneva il figlio dietro di sé, mentre se voleva proteggerlo avrebbe potuto e dovuto coprirlo con il suo stesso corpo, tenendolo davanti a sé. Al contrario, era lui che si difendeva rannicchiato all’angolo, mentre lasciava il figlio esposto: il padre si faceva scudo del figlio, perché secondo la mentalità araba, un bambino non ha valore, specialmente davanti al padre. Per un bimbo che muore, altri dieci se ne fanno: donne e bambini sono senza valore, senza diritti. Diritti e valore a donne e bambini li concede ‘graziosamente’ l’uomo, inteso come maschio. In Medio Oriente l’età media è di 25 anni.

Un altro pilastro importante e portante del pensiero o se si vuole della cultura orientale è il principio di autorità: il capo (lo sceicco, il padre, il muftì) ha sempre ragione. Le sue scelte, fosse anche la decisione di uccidere i suoi propri figli (come fece Saddam Hussein), sono sempre lecite e giuste. Il capo non sbaglia mai e per lui il popolo è disposto a sacrificare la vita, in ogni circostanza, senza alcuna ragione: basta che il capo lo chieda.

Concetti occidentali come democrazia, persona, rispetto, diritti, doveri, dignità, sono parole vuote di senso. Semplicemente non dicono nulla. Di fronte agli Occidentali, si usano anche, ma senza esprimere nulla di specifico. Il senso dello Stato è totalmente assente, per il semplice fatto che non c’è Stato, ma solo un clan con lo sceicco e la sua tribù. Da qui l’assenza di qualsiasi ‘stato sociale’, per cui il popolo è abbandonato a se stesso. Oggi, XXI secolo, la maggior parte dei paesi arabi sono con le fogne a cielo aperto, la miseria dilagante, l’ignoranza diffusa e i petrodollari in mano solo ad una infima minoranza, per altro innaturale. Basta guardare una qualsiasi carta geografica del Vicino Medio Oriente per rendersene conto: i confini di tutti gli stati attuali non sono naturali, ma ‘tagliati’ a tavolino da potenze ‘estere’ come l’Inghilterra e la Francia che, nel secolo scorso ne traevano vantaggi e interessi. Furono esse la causa prima dell’instabilità di oggi. L’Occidente, negli anni ’70, dopo averlo ospitato e foraggiato, ha inneggiato al ritorno di Komeini in Iran, osannandolo come il padre della democrazia e della libertà contro il regime oppressivo di Reza Phalevi, senza capire che tutte le oppressioni dello Scià della ex Persia non valevano una sola oppressione teocratica komeinista. Komeini si è servito dell’Occidente per salire al trono e uccidere ogni forma di democrazia e civiltà. Fu lui ad instaurare il peggiore regime assolutista in Medio Oriente, il regime teocratico da cui ha dichiarato guerra all’infedele Occidente e da cui ha dato la stura a tutti i fondamentalismi islamici in tutto il mondo. Da 25 anni attendo un ‘mea culpa’ occidentale, se non altro per un errore di valutazione, ma credo che posso aspettare, tranquillamente, la fine del mondo: l’Occidente ha memoria corta e miope.

L’Islam, o meglio, l’uso osceno che i potenti e i senza-scrupoli di turno ne fanno, è alternativo a tutto ciò che non è islamico. Da qui la necessità della ‘guerra’ che può essere giustificata soltanto dall’interno di un amalgama religioso e per uno scopo non verificabile come ‘il volere di Allah’: tutto ciò che è votato alla volontà divina è ‘santo’ e dunque anche la guerra è ‘guerra santa’.

Di per sé, il Corano è un libro religioso di tutto rispetto: si sente la copiatura sia dall’ebraismo che dal cristianesimo, e quindi non ha alcuna originalità propria, ma impone ed esige il massimo rispetto, sia come proposta ascetica che, direttamente, morale. L’uso invece che se ne fa, dà origine all’Islamismo pratico, che usa la religione come strumento di coercizione e come panacea per tutti gli orrori che gli uomini sono in grado di pensare. Osama bin Laden, dopo l’attacco all’America dichiara: Ringrazio Allah per questa immensa gioia. Un ragazzo palestinese strappa il cuore con le sue mani ad un soldato israeliano, ad Ebron? Mostra le mani alla finestra incitando la folla eccitata e gridando le parole sacre della preghiera di ogni autentico mussulmano: Allah akbar-Dio è grande!

L’Occidente non ha capito che l’ingresso dei mussulmani in Europa e in Occidente non è casuale, ma programmato. In Medio Oriente si è soliti sentire: con la vostra democrazia vi domineremo con la nostra religione vi distruggeremo. Essi sono gli avamposti di un esercito che ha come obiettivo di distruggere tutti gli infedeli, in nome di Allah e del suo profeta, Mohamed.

Occorre instaurare, al più presto, perché ormai è troppo tardi, il principio di reciprocità. L’Occidente non può e non deve rinunciare alla sua identità democratica che dà adito a Stati di diritto e non ad accozzaglie senza legge e senza storia, per cui accoglie, sapendolo, arabi credenti o non credenti o atei e a tutti deve garantire la possibilità di scelta anche religiosa o atea. Uno Stato è veramente tale, quando riconosce, sancisce e garantisce la libertà religiosa di ciascun suo cittadino, all’interno dei propri confini. Ogni arabo islamico, nel momento in cui è accolto e accettato acquisisce diritti e s’impegna a doveri. Acquisisce il diritto di esprimere e manifestare la sua fede religiosa, ma s’impegna al dovere di considerare la donna “pari e uguale” a sé, con gli stessi identici diritti e doveri. Contro questo diritto costituzionale non può essere invocato il diritto alla propria cultura e tradizione. E’ un punto discriminante per l’Occidente, tanto discriminante da essere sancito nelle carte costituzionali di tutti gli Stati civili. Se il maschio islamico, in nome del suo insensato senso religioso, ritiene di non potere accettare il riconoscimento della parità “effettiva” della donna (moglie, madre, figlie, ecc.), nessuno gli impone nulla: può tranquillamente tornare al suo paese, dove la sua tradizione non è messa in discussione. In un paese occidentale non è lecito ‘infibulare’ le donne: questo deve essere considerato un delitto contro la persona. Chi non l’accetta, può anche evitare di venire in Occidente. Domanda: se venisse un cannibale, l’Occidente permetterebbe il cannibalismo, in omaggio ad una tradizione e ad una cultura? Certamente no!

Il mussulmano ha diritto di costruire tutte le moschee che vuole, in territorio occidentale, purché nel rispetto delle normative (piani regolatori, leggi ambientali, sanitarie, di sicurezza, ecc.) e delle leggi che regolano la vita collettiva: i muezzin non possono lanciare i loro altoparlanti anche di notte, dal momento che, in Italia, per es., c’è una legge che vieta l’uso delle campane e quindi anche degli altoparlanti mussulmani dalle ore 22,00 alle ore 07,00. Un mussulmano in flagrante delitto, in uno Stato occidentale è garantito in tre gradi di giudizio ed è presunto innocente fino a sentenza definitiva. Piccole cose sulla via di una integrazione autentica. Eppure, manca qualcosa e qualcosa di importante: il principio della reciprocità.

Un Occidentale che visiti alcuni Paesi mussulmani come l’Arabia Saudita, gli Emirati, l’Afganistan, L’Iraq, l’Iran, il Bangladesh, il Sudan, ecc. non può portare con sé nemmeno una boccetta di vino per la celebrazione della Messa cristiana, non può costruire edifici di culto, non può portare con sé un vangelo… tutte cose considerate… materiale blasfemo. Condanna: pena di morte. Se un Occidentale incappa in qualche incidente in un Paese arabo è meglio che si raccomandi a qualche tribù di santi, perché potrebbe anche non uscirne vivo. Non esiste diritto alla difesa. Semplicemente non esiste difesa. Il diritto alla reciprocità esige questa semplice applicazione: possono entrare in Occidente solo quegli arabi mussulmani, i cui Paesi s’impegnano a riconoscere agli Occidentali gli stessi diritti e tutele riconosciuti ad essi. Tutto deve avvenire con firme diplomatiche tra Stati che devono anche nominare un Garante di facile accesso e immediata decisione. Finché l’Occidente non prenderà sul serio questa realtà, avrà sempre da fare fronte ad atti di terrorismo che si annida all’interno dello stesso Occidente.

E’ mai pensabile che oltre 50 persone siano entrate negli Usa, senza che nessuno se ne sia accorto, ai posti di controllo? Non resta che una conclusione: la maggior parte degli attentatori erano “già” sul posto e non da ieri, ma da anni e forse erano persone rispettabili e ‘integrate’. Sì, integrate alla mussulmana, cioè integrate quanto basta a confondere gli altri, ma senza mai spostarsi di un millimetro dalle proprie posizioni oltranziste e omicide.

Caro, vecchio Carlo Marx! Mai ho capito profondamente il suo grido, come da quando vivo in Israele, dove la religione è quotidianamente usata come oppio e oppio ottimo e abbondante.

L’Islamismo non è una religione! Dio è funzionale all’interesse del gruppo che ne fa uso e questo può essere diverso da gruppo a gruppo. Un denominatore comune: tutti i gruppi, pur distinguendosi dagli altri, nelle strategie o nelle motivazioni o negli obiettivi, hanno in comune la gestione del potere e l’enorme massa di denaro che veicolano. Si formano e si educano ragazzini a farsi ammazzare non per la fede, ma per avere il premio assoluto da Allah, in paradiso (mangiare e bere da principi, sempre, donne stupende e vita beata): non ho mai visto un capo, uno sceicco, un muftì dare l'esempio e andare a morire per la giusta causa. Si mandano sempre gli altri. In nome di Dio, naturalmente!

Nessun contatto potrà esserci tra Occidente e Islamismo, se non in base e in forza di una legge di reciprocità, liberamente controfirmata da entrambi. Infatti, tutti, quasi tutti i Paesi arabi, pur disponendo di ricchezze immense, hanno la più alta % di povertà e di analfabetismo del mondo; sono i paesi più arretrati del mondo su tutti i campi, tranne che nei palazzi principeschi, dove lo stile (quasi sempre negativo) di vita occidentale si coniuga perfettamente con lo stile di vita orientale.

Una guerra di civiltà non può più essere condotta e combattuta con le armi, ma deve essere pianificata nel confronto e nella sfida: chi ha più filo tesse. E’ necessario che l’Occidente sfidi il mondo arabo e lo obblighi ad uscire dalle sacche in cui si trova. L’Oriente ha paura: chiunque può vedere che anche le catapecchie, anche le tende dei beduini nel deserto sono dominate dalle paraboliche con il peggio e il poco decente che veicolano. Anche la Siria ha dovuto cedere alla forza delle parabole: idee, pensiero o vuoto di pensiero non si possono fermare alle soglie dei confini degli Stati. In questo senso, la globalizzazione, in negativo, è già in atto.

Queste alcune suggestioni di confronto e di riflessione. Da esse bisogna ripartire per ripensare l’Islamismo e il suo rapporto con l’Occidente in generale e la ragione lontana e vicina che questo rapporto determina in particolare che è la questione palestinese.

Israele, America ed Europa devono ripartire dall’Onu per una duplice azione congiunta: riconoscere il diritto dei Palestinesi ad avere una patria nel loro Paese, con confini certi e sicuri, garantiti internazionalmente e obbligare Israele a condividere con il nuovo Stato le risorse fondamentali: l’acqua del Giordano e delle altre sorgenti e lo scambio commerciale. A questa prima e solidale posizione deve corrispondere, specularmente l’espulsione da ogni consesso dell’Onu di quei Paesi che non ottemperano i trattati firmati (carte dei diritti) e non si attengano alle risoluzioni democraticamente sancite. La concussione di un solo diritto, contemplato nelle carte firmate, è sufficiente per sancire l’espulsione ‘ipso facto’, senza procedure d’urgenza o altro. E’ evidente che tutto ciò esige come preliminare e corollario indispensabile, l’abolizione del diritto di veto. Nessun Paese può esercitare, in un contesto di democrazia civile, alcun diritto di veto. E’ immorale!

Se i Paesi arabi vogliono sedere accanto alle altre nazioni, devono accettare le regole di queste; se l’America vuole stare accanto alle altre nazioni civili e democratiche, deve  accettare le stesse regole. Lo stesso valga per l’Europa, per la Cina, il Giappone e per tutti i Paesi, piccoli e grandi, dell’Africa come dell’America Latina. Del Sud e del Nord. Senza esclusioni, ma anche senza confusioni.

Per sommi capi, questo è il clima in cui è prosperato e si è alimentato l’attentato orrendo contro l’America, sebbene il suo obiettivo sia il Medio Oriente. Una provocazione totale, compiuta da uomini satanici, che usano Dio come una clava per distruggere lo stesso nome di Dio. Fanatici isolati e ignoranti che fanno del loro individuale pensiero, il pensiero del mondo; che vogliono instaurare un regime teocratico assoluto, di spessore mondiale, dove, naturalmente, saranno  loro a governare. Un regime di terrore. Per mandato di Dio, logicamente!

Tutti, in un certo senso, siamo colpevoli, se in 50 anni non siamo stati capaci, per interesse o per convenienza, a trovare una soluzione che si fondasse sulla giustizia, prima ancora che sulla pace.

Dopo l’attacco all’America, non è più consentito nascondersi dietro un dito. Il ventre di una umanità malata ed egoista e furba ha generato mostri che l’hanno superata in ferocia e belluinità, con tutto il rispetto dovuto al mondo animale che forse ha molto da insegnarci.

Sulla scena della geopolitica, i palestinesi contano e valgono come il due di briscola, ma restano lo scenario comodo per quanti vogliono fare del terrore la loro arma e il loro metodo. Che sia Osama bin Laden con la complicità di arabi naturalizzati americani e l’appoggio di qualche Stato ‘amico’ o chiunque sia, un effetto è stato raggiunto: da oggi tutti i popoli liberi sono più distanti non solo dal mondo arabo che vivono come un possibile rischio, ma anche dalla causa dei Palestinesi, la cui danza sulle strade della Palestina ha segnato e segnerà il principio del loro lamento di morte. Oggi sempre meno saranno coloro che si dichiareranno disponibili a combattere per gente che danza sui corpi dei morti, propri e altrui.

Oggi, l’umanità intera, per l’attentato maledetto e per la disumanità della gioia ‘islamica’, ha fatto un passo indietro verso la barbarie, verso il suo suicidio.

“Dio rende pazzi coloro che vuole perdere”.

Signore, perdonali, se puoi, perché sanno quello che fanno!

Paolo Farinella.

-12 settembre 2001-